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“Io mi svezzo da solo!” di Lucio Piermarini

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I contenuti si ritrovano nel libro “Io mi svezzo da solo!” di Lucio Piermarini. I dipinti appartengono all’artista Alena Kalchanka. I sentimenti sono di ogni mamma. Alcune piccole attenzioni creano le condizioni migliori per il passaggio dal latte alle prime pappe. La mamma è serena e il bambino che cresce impara ad apprezzare sempre più il cibo. È possibile che tutto questo avvenga in modo gioioso e naturale.

 

Partenza senza riflessi

Riposo

Normalmente, fino all’età di sei mesi circa, i bambini non sono in grado di assumere cibi diversi dal latte correttamente come noi pretenderemmo. La ragione sta nel fatto che i meccanismi di assunzione del latte, alimento liquido, con la suzione, sono, solo a pensarci un attimo ve ne renderete subito conto, del tutto diversi da quelli necessari per l’assunzione di cibi semisolidi o solidi con un cucchiaio.

 

Innanzitutto devono scomparire alcuni movimenti riflessi tipici dei bambini nei primi mesi di vita, cioè contrazioni e azioni involontarie, non controllate, di muscoli in seguito ad uno stimolo. Come quello che succede quando, con un martelletto, percuotiamo il tendine del ginocchio che sta subito sotto la rotula; la contrazione riflessa dei muscoli della coscia collegati a quel tendine solleva la gamba.

Beatitudine

“Dopo non più, basta aspettare”

Il primo a doversene andare è quello che impedisce al bambino di aprire la bocca se si toccano le labbra. Quando si allatta, o è il bambino ad aprire spontaneamente la bocca, oppure si strofina il capezzolo sulla guancia e il bambino, anche questo è un riflesso, si gira verso il seno a bocca aperta.Crescita

Se si offre il seno forzando il capezzolo tra le labbra, il bambino tira fuori la lingua e lo sputa. Farà lo stesso con qualunque altro oggetto, cucchiaino compreso, fino al momento dovuto in cui il riflesso scompare. In passato, per superare questo ostacolo, si cercava di infilare profondamente nella bocca dei bambini il cucchiaino, ripulendolo poi sul labbro superiore e sul palato. Questa astuzia gabbava anche un altro riflesso, quello per cui se si stimola la metà posteriore della lingua, fino ad una certa età, si provoca il vomito, reazione utile a prevenire l’inalazione di corpi estranei. Niente di strano che più di un bambino, svezzato troppo presto, rischiasse di strozzarsi con le prime pappe, da cui la doverosa cautela. Dopo non più, basta aspettare.
OriginePoi il bambino si deve liberare della tendenza, sempre riflessa, a mordere ripetutamente, compulsivamente, tutto quello che si mette in bocca. Nel nostro caso farebbe ripetuti movimenti di semplice apertura e chiusura della bocca sul cucchiaino colmo di pappa, con l’ovvio risultato, come osservava Candida, il mandarne un po’ indietro, in gola, e un po’ avanti, fuori della bocca, costringendo la mamma a lavorare di cazzuola per evitare sprechi. Ma non basta. Durante la suzione la lingua, coordinandosi con la mandibola, si muove in senso antero-posteriore permettendo l’estrazione del latte dal seno che, durante la poppata, riempie completamente la bocca del bambino. Questo complesso meccanismo fa sì che il latte non si accumuli minimamente in bocca e, all’altezza della parte più posteriore della lingua, nella zona di congiunzione tra palato duro e molle, con l’avvio automatico del riflesso di deglutizione, passi direttamente nell’esofago.
LegameQuando il cibo viene offerto con il cucchiaino, viene invece depositato nella parte anteriore della lingua o a metà, e da lì deve essere trasportato posteriormente fino al punto in cui si provoca la deglutizione. Trattandosi però di alimenti non più liquidi, questi devono essere bene impastati con la saliva e masticati al meglio, prima con le aguzze gengive e poi con i molari per poter arrivare senza rischi e in condizioni idonee alla digestione, fino all’esofago. Il movimento riflesso antero-posteriore della lingua sarebbe d’impaccio ed è solo con la comparsa di tutta la complicata serie di movimenti, stavolta volontari, in senso laterale, di lingua, guance e mandibola che il processo si perfeziona fino a completarsi verso i dodici mesi. Anche questa abilità compare a tempo debito, e non è cosa da poco. Provate a fare un’attenta osservazione su voi stesse e scoprirete quanto elaborato sia tutto il processo e quanto preciso esso debba essere per evitare sia di mordere la lingua invece del cibo, sia di indirizzare il cibo, una volta arrivato sulla rampa di lancio, verso un erroneo bersaglio, cioè in trachea invece che in esofago.

 

La variabilità biologica

Sarà un caso, ma tutta questa serie di competenze motorie del bambino comincia a comparire dopo i quattro mesi e si completa e perfeziona proprio a circa sei mesi. Il “circa” è d’obbligo, per l’epoca di svezzamento come per tutto ciò che riguarda in generale il nostro organismo.
MaternitàIl motivo è semplicemente che tutti gli esseri viventi, e gli esseri umani non fanno eccezione, pur obbedendo alle stesse specifiche leggi biologiche, presentano per ogni loro carattere, quelle differenze che fanno di ciascuno un individuo unico e irripetibile. Così per lo svezzamento, il tempo di maturazione delle abilità necessarie, di cui abbiamo descritto per ora solo quelle motorie, non è identico per tutti i bambini, pur situandosi intorno a una certa età prevedibile che sono appunto i sei mesi di vita. E’ abbastanza comune perciò trovare bambini che si mostrano maturi anche una o due settimane prima o dopo i sei mesi. Più raramente si va oltre questi limiti, anche se, casi di ritardo fino a setto otto mesi non sono eccezionali. E’ possibile, prendetela però per una speculazione, che questi bambini non abbiano un reale bisogno di integrare la loro alimentazione lattea prima di quella data, e quindi, ancora una volta, fidarsi del bambino risulterebbe la scelta migliore.

 

“Se non si rispettano i tempi fisiologici”

[…] Volendo ad ogni costo forzare i tempi, le difficoltà che si incontrano nell’avviare e mantenere la somministrazione di cibi solidi in questi specifici casi, sono tali e tante da favorire nei bambini la comparsa di vere e proprie patologie del comportamento alimentare e, nella famiglia nel suo insieme, seri disturbi relazionali. In parole povere, tutti diventano antipatici a tutti. […]

Natura

 

“Lo svezzamento del bambino prematuro”

Un caso specifico è quello dei bambini nati prematuri in cui la velocità dello sviluppo neurologico è solo modestamente influenzata dall’esperienza.
FamigliaSe un bambino è nato prematuro di due mesi, questo anticipo, all’età anagrafica di sei mesi ci sarà ancora tutto, per cui il suo comportamento sarà come quello di un bambino di quattro. Non c’è nessun problema ad aspettare che anche lui mostri spontaneamente di essere pronto.

Le eventuali carenze nutrizionali legate alla sua nascita anticipata potranno essere corrette, come correttamente si fa, con opportuni integratori , senza mettere a rischio la sua salute forzando la mano.

 

 “Tutto secondo natura”

Creazione

Insomma, tutto si svolge come se qualcuno avesse disposto le cose in modo che, quando compaia il bisogno di integrazione del latte materno, il bambino sia maturo per assumere agevolmente e senza rischi alimenti diversi dal latte. Miracolosamente quello che prima per il bambino era di una difficoltà insormontabile, è ora facile e senza rischi. Il cucchiaino, l’odiato violentatore di uno o due mesi prima, ora scivola in bocca senza ostacoli e senza traumi. Esce perfettamente pulito, e pulito, o quasi, è il bambino.

 

“Svezzamento improprio”

Tutta l’inutilità del cosiddetto allenamento precoce al cucchiaino con la frutta, per facilitare il gran passo successivo, è ormai chiara. Inoltre, anche l’introduzione della sola frutta non è affatto innocua, in quanto assimilabile ad uno svezzamento improprio, perché, sostituendosi comunque ad una parte di latte, sottrae una quota di nutrimento di qualità più elevata.

 

“La sensibilità della mamma”

SerenitàSiamo sicuri che Candida, ormai sulla traccia delle fonti sicure di informazione, prima o poi verrà a conoscenza di quanto abbiamo detto e si rassicurerà. Anche se, quando fosse riuscita a sottrarsi alle nefaste influenze extra-familiari, siamo certi che la sua sensibilità di mamma l’avrebbe comunque messa in condizione di riconoscere le abilità di suo figlio.
Per ora è sufficientemente serena riguardo al fatto che aspettare non comporterà rischi nutrizionali per il bambino e guarda fiduciosa alla fatidica scadenza, sperando che il rispetto dei tempi fisiologici basti ad evitare i problemi che ha incontrato al primo tentativo.

Vedremo.

 

 

Tratto da “Io mi svezzo da solo! – Dialoghi sullo svezzamento” di Lucio Piermarini (Bonomi Editore sas, 2008)

Perchè la mia bimba ha 9 mesi e ama mangiare e questo libro è ancora sul mio comodino…

La magia dei colori è per gentile concessione dell’artista Alena Kalchanka

 

 

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Autismo – Parlare non equivale in alcun modo a comunicare

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Alcuni bambini con autismo parlano, altri no. Alcuni utilizzano un numero di parole limitato, di cui possono conoscere o meno il significato; alcuni comunicano efficacemente anche senza usare il linguaggio verbale, altri invece conoscono tante parole ma non sono in grado di comunicare. Spesso c’e’ un legame tra la loro frustrazione, l’estraniamento, i comportamenti problema e le difficoltà con la comunicazione.

 

tavolo autismo

 

 

Difficoltà di comprensione del linguaggio

Alcuni bambini con autismo hanno forti difficoltà a comprendere il linguaggio verbale e fin da piccolissimi non reagiscono alle parole dei genitori o dei fratelli. Questa mancanza di reciprocità è molto frustante e disorienta i genitori, perché hanno la sensazione che non vi sia un legame significativo con il bambino. Molti arrivano a pensare che possa essere sordo.

cane autismo

Possono esserci difficoltà di comprensione del linguaggio. Le istruzioni fornite in un contesto insolito o in numero eccessivo o in una forma complessa causano spesso problemi. Similmente, risultano difficilmente comprensibili le parole e i concetti astratti e, se si parla troppo in fretta o usando troppo parole, alcuni bambini con autismo vanno in confusione. Potrebbero comprendere meglio le istruzioni quando:

Troppe parole, parole complesse e frasi lunghe possono generare confusione.

I bambini normali comprendono il linguaggio e allo stesso tempo lo associano alle loro osservazioni della situazione sociale, iniziando a collegare le parole a comportamenti che già comprendo, come guardare, fare, imitare.

Spesso i genitori usano un linguaggio semplice nel parlare con i loro bambini e cercano di nominare una sola azione per volta. Le parole vengono utilizzate per guidare il bambino a guardare un oggetto specifico. Con il bambino con autismo, dobbiamo cercare di fare altrettanto, adattando il nostro linguaggio al loro livello. Lo si può fare fornendo istruzioni semplici che il bambino conosce:

  • dammi
  • metti la giacca
  • è ora di mangiare
  • mettiamo via

libro autismo

E’ una buona idea mostrare le cose di cui stiamo parlando, così che il bambino possa associare parola al suo significato.

Quando è ora di andare a scuola, Wout dimentica sempre la cartella. La madre è spesso di corsa e lo richiama: “Wout, vai a prendere la cartella, te la sei di nuovo dimenticata!”. Wout non mostra reazioni. Un giorno, sua madre gli indica la cartella e dice: “Wout, la cartella”. Lui la guarda un attimo e prende la sua cartella. Per la prima volta (ha sette anni) capisce veramente quello che lei gli dice. Da quel giorno, la mamma ha imparato come comunicare con lui.

E’ importante non solo limitare le parole allo stretto necessario, ma anche indicare l’oggetto: i bambini con autismo sono molto bravi a cogliere i suggerimenti visivi. Combinando correttamente il suggerimento visivo e la parola si fa leva su un altro punto di forza: la capacità di compiere associazioni concrete. La parola è collegata a un oggetto. Il linguaggio è sincronizzato.

I genitori di bambini con autismo vengono spesso guardati con stupore perché nel parlare con i loro bambini usano uno stile telegrafico o un tono imperioso. Non si tratta affatto di essere bruschi, freddi o distaccati, ma della necessità di farsi capire chiaramente.

mano autismo

Molti bambini con autismo hanno una comprensione molto ristretta di alcuni significati, al punto che una parola può avere significato in una situazione ma non in un’altra.

A scuola Elke capisce cosa vuol dire “giocare”. Ogni volta che la maestra le dice: “Vai a giocare adesso”, si dirige verso il suo angolo e inizia a giocare con i cubi. La maestra ha cercato di associare la parola “giocare” sia ai cubi sia ad altri giocattoli. A casa, però, “vai a giocare” non significa nulla per lei. Non mostra alcuna reazione. I suoi genitori, allora, iniziano a usare la parola “giocare” ogni volta che Elke prende in mano i suoi giocatoli. In questo modo comprende che anche a casa la parola “giocare”significa utilizzare i giocattoli in un determinato spazio. Quando va al parco avrà ancora difficoltà a capire, perciò la madre continuerà a utilizzare la parola “giocare” quando va sullo scivolo o sull’altalena, quando si arrampica sula spalliera, ecc.

mela

I bambini con autismo hanno spesso la tendenza a collegare a una parola un solo significato, peraltro limitato, che non viene generalizzato; hanno difficoltà a comprendere il concetto più ampio e spesso accumulano mentalmente tutti i significati facendosi una sorta di dizionario. Dobbiamo quindi provare a insegnarli i concetti, se necessario visualizzandoli con immagini o testo scritto.

Giocare significa divertirsi:

  • con i cubi a scuola
  • con le bambole a scuola
  • con la cucina a scuola
  • ….
  • con i cubi a casa
  • con le bambole a casa
  • con il trenino a casa
  • con la spalliera al parco giochi
  • con lo scivolo al parco giochi
  • ….

 

 

Difficoltà di produzione del linguaggio

Le stesse difficoltà con il linguaggio si riscontrano anche nella comunicazione espressiva. Possono avere problemi nel comunicare in contesti e ambienti diversi, soprattutto riguardo a cose che non sono presenti in quel momento, che non sono qui e ora ma e in un altro momento. In altri termini, i bambini con autismo hanno maggiori difficoltà a comunicare quando di stratta di cose azioni collocate nel passato o nel futuro, perché questo richiede necessariamente la capacità di crearsi un’immagine mentale di qualcosa che non è immediatamente visibile. “Fare un’osservazione” è diverso da “dare un’informazione”. “Fare un’osservazione” è di fatto assimilabile a “nominare”.

gatto

 

Il bambino associa la parola all’oggetto che vede: una banana, una mela, una macchia. Dare informazioni appartiene al mondo dell’altrove e in un altro tempo. Se dico che la settimana scorsa ho tenuto una conferenza in Danimarca, sto fornendo un’informazione. Un’informazione invisibile. E’ in parte per questo motivo che i bambini con autismo trovano così difficile parlare a casa di fatti accaduti a scuola o viceversa. Anche in questo caso, una fotografia o un disegno possono fare prodigi, poiché il bambino visualizza che cosa può raccontare. Anna non parla mai della scuola. Un giorno l’insegnante incolla la foto della piscina nel quaderno delle comunicazioni scuola-famiglia che la bambina porta sempre nello zaino. Quando Anna vede la foto a casa, racconta spontaneamente che ha nuotato in piscina.

“Quando la mamma stava per andarsene dopo avermi accompagnata da qualche parte, ero terrorizzata. Mi avrebbe abbandonata qui? L’aver imparato che veniva a prendermi ogni giorno a scuola non era qualcosa che potevo trasferire in questa situazione. Non mi aiutava a capire che probabilmente sarebbe venuta a riprendermi anche da questo strano posto. Ciò che accadeva a scuola, qui non aveva rilevanza alcuna. Tutto ciò che aveva a che fare con la scuola stava in un compartimento speciale nella mia mente a cui potevo accedere solo quando ero di nuovo là, a scuola” (Gerland, 1997).

 

nuvole autismo

Un quaderno scuola-famiglia è molto utile anche per i bambini verbali: operatori e genitori possono annotare gli aspetti più rilevanti della giornata o le cose da ricordare per il giorno successivo. Per i bambini o ragazzi più grandi può rivelarsi un efficace strumento per favorire una maggiore autonomia attraverso annotazioni come: preparare il materiale per la piscina, portare i soldi, fare i compiti, ecc. Non aspettatevi che tengano a mente e ricordino tutto, né che riescano a rievocare queste informazioni (immagazzinate come sono in un compartimento diverso). Spesso occorrerà insegnare anche a prendere il quaderno dallo zaino e consultarlo.

 

 

Tratto da “L’autismo da dentro” di Hilde De Clercq (Erickson, 2011)

Comunicare, basta solo sapere come…

Disegni realizzati da una ragazzina con autismo presso il servizio semiresidenziale dell’Ospedale ai Colli di Padova

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Esperienza, ragionamento e linguaggio

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Alcune riflessioni rivolte ai genitori di bambini in crescita. Semplici abitudini in famiglia possono facilitare lo sviluppo cognitivo e linguistico dei nostri piccoli. Troviamo insieme le risposte ai perchè di tutti i giorni e prevediamo le conseguenze degli eventi.

La risposta ai perché

Per adattarsi al mondo che lo circonda, il bambino si pone inconsapevolmente continui interrogativi sull’ambiente fisico o sociale (qual è il modo migliore per raggiungere la zuccheriera, chi sarà l’uomo che è entrato, …), interrogativi ai quali dimostra spesso di saper trovare altrettanto inconsapevolmente la soluzione tutte le volte che si trova ad agire in modo adeguato.

La presa di coscienza mediante la verbalizzazione di questi piccoli problemi, ai quali saprebbe dare una risposta immediata col comportamento anche se non ancora con il linguaggio, appare importante per creare un riferimento concreto e preciso ai rapporti causa-effetto. Rispondere ai perché crea inoltre l’abitudine e il piacere di continuare a proporseli coscientemente.

Sollecitare i bambini a trovare risposte adeguate a questi elementari “perché” della vita di tutti i giorni, senza accontentarsi del primo dato che viene alla mente, ma considerando tutti gli aspetti di ogni soluzione, è la premessa per arrivare alla padronanza del ragionamento logico.

Bambini

I bambini possono avere difficoltà nel dare risposte verbali appropriate sia per lacune nella competenza linguistica, che riduce la capacità di decodificazione dell’enunciato proposto e/o di codificazione della sua risposta; sia per una carente organizzazione del proprio vissuto che non viene recuperato e verbalizzato con sufficiente rapidità per risolvere con successo il quesito.

Va ricordato che per impostare correttamente e risolvere facilmente questi facili problemi verbali può essere sufficiente un’esperienza anche limitata come quella del bambino piccolo, purché essa sia stata ben codificata in linguaggio e già più volte evocata.

Esperienza

La codificazione verbale infatti da un lato organizza l’esperienza percettiva e ne facilita il recupero, dall’altro ne garantisce la generalizzazione e l’impiego in qualsiasi situazione nuova che presenti aspetti analoghi.

L’impegno in questa attività richiede al bambino:

  1. La precisa decodificazione dei dati verbali per l’identificazione del problema;
  2. La costruzione di una mappa di lavoro da tenere presente nella memoria a breve termine;
  3. Il recupero della mappa percettivo-cognitiva (memoria a lungo termine) di esperienza analoga acquistata in precedenza;
  4. Il confronto e l’interazione creativa fra i dati forniti e quelli già immagazzinati per la soluzione del problema;
  5. La codificazione verbale del risultato.

La domanda può essere formulata in modo affermativo o negativo e ciò rappresenta un livello di differente difficoltà.

Nelle risposte va curata la precisione del contenuto e della forma a livello spontaneo.

 Ragionamento

L’anticipazione

La capacità di anticipare, cioè di prevedere conseguenze e di esprimerle verbalmente, deriva dall’abitudine ad operare con agilità e flessibilità su dati verbali evocati all’interno della mente. È una capacità che può comparire anche precocemente, purché l’argomento sia familiare, sperimentato direttamente, oltre che più volte correttamente verbalizzato.

Linguaggio

Esistono situazioni che prevedono crescenti gradi di difficoltà.

Esiste l’anticipazione di un evento che può accadere fra molti possibili: in questo caso tutte le risposte sono accettabili anche se alcune saranno più pertinenti in rapporto sia all’esperienza già fatta sia alle singole preferenze di ogni bambino.

Comportamento

Ad un secondo livello la previsione è centrata su di un’unica inevitabile conseguenza: questa anticipazione convergente, che presuppone nei bambini una buona organizzazione delle loro conoscenze su cose e situazioni abituali, li stimolerà ad approfondire le loro osservazioni e ad arricchire il linguaggio.

Anticipazione

Ad un terzo livello infine si tratta di invitare il bambino a porre paragoni fra più conseguenze possibili, in modo da esercitarsi nella valutazione critica.

Da quest’ultima attitudine deriverà per i bambini la capacità di operare scelte motivate logicamente e non sostenute unicamente dal primo impulso emotivo, con una chiara implicazione per un sempre più ampio raggio di autonomia decisionale.

Logica

Tratto da “Guida agli usi cognitivi del linguaggio orale” di Jacqueline Bickel (Belforte Editore Libraio, 1985)

Crescere giorno dopo giorno…

Colori dell’arcobaleno giocando come non molto tempo fa

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Pragmatica della comunicazione umana

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Ogni parte di un sistema è in rapporto tale con le parti che lo costituiscono che qualunque cambiamento in una parte causa un cambio in tutte le parte e in tutto il sistema. Vale a dire, un sistema non si comporta come un semplice composto di elementi indipendenti, ma coerentemente come un tutto inscindibile.

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Forse è una caratteristica che appare più evidente se si considera quello che è il suo polo opposto, la “sommatività”; se le variazioni in una parte non influenzano le altre parti o il tutto, è allora chiaro che le parti non dipendono l’una dall’altra e costituiscono invece un “agglomerato” che non ha una complessità maggiore di quella che risulta dalla somma dei suoi elementi.

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La sommatività e la totalità si trovano dunque ai due poli di un continuum ipotetico e si può affermare che un qualche grado di totalità caratterizza sempre i sistemi.

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La non-sommatività in quanto corollario della nozione di totalità ci offre una guida negativa per definire un sistema. Un sistema non può essere fatto coincidere con la somma delle sue parti; infatti, l’analisi formale di segmenti isolati artificialmente distruggerebbe l’oggetto stesso dell’interesse.

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È necessario trascurare le parti per la Gestalt e fare attenzione a ciò che ne sostanzia la complessità, che è l’organizzazione. Il concetto psicologico di Gestalt è soltanto un modo per esprimere il principio di non-sommatività; in altri campi si nutre un grande interesse per la “qualità emergente” che scaturisce dall’interrelazione di due o più elementi.

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L’esempio più ovvio lo troviamo in chimica dove alcuni elementi (relativamente pochi tra quelli noti) si combinano in una varietà immensa di sostanze nuove e complesse.

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Un altro esempio sono i cosiddetti Moirè patterns – fenomeni ottici ottenuti sovrapponendo due o più reticoli.

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In entrambi i casi, il risultato è di una complessità che non si potrebbe mai spiegare in base agli elementi separatamente considerati.

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È inoltre un fatto di grande interesse che il minimo cambiamento nella relazione tra le parti costituenti si trovi spesso esaltato nella qualità emergente – una sostanza diversa nel caso della chimica, una configurazione assai diversa nei Moirè patterns. In fisiologia, la patologia cellulare virchowiana è sotto questo aspetto in netto contrasto con certi metodi moderni come quelli di Weiss (162); in psicologia, il principio classico di associazione è senza dubbio in contrasto con la teoria della Gestalt; analogamente, ci siamo proposti di studiare l’interazione umana applicando la teoria della comunicazione, contrapponendoci a quei metodi che considerano l’individuo isolatamente.

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Quando si considera l’interazione come la conseguenza di certe “proprietà” individuali (ruolo, valori, aspettazione e motivazioni) il composto – due o più individui che interagiscono – è una pura somma, un”agglomerato”che si può spezzare in unità più fondamentali (individuali).

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Per contro, quel che consegue dal primo assioma della comunicazione – secondo cui ogni comportamento è comunicazione e quindi non si può non comunicare – è che le sequenze di comunicazione sono reciprocamente inscindibili; in breve, che l’interazione è non-sommativa.

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Tratto da “Pragmatica della comunicazione umana” di Paul Watzlawick, Janet Helmick Beavin, Don D. Jackson (1967, W.W. Norton & Co., New York; 1971, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini Editore, Roma)

Chiacchierando con amici…

Per far sopravvivere la loro complessa organizzazione, le api hanno sviluppato un sistema di comunicazione assai raffinato, attraverso la danza e l’emissione di sostanze odorose. Ciascuna ape vive in interdipendenza con le altre api: un’ape separata dal gruppo per più di 2-3 giorni è destinata a morire. All’interno della colonia ogni ape ricopre un ruolo e svolge delle funzioni ben precise, tutte finalizzate al benessere e alla salvaguardia della comunità, anche al costo di perdere la propria vita.

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La mamma ed il bambino

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Lunedì 16 gennaio 2017

La nascita.

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Martedì 17 gennaio 2017

Ancora gioia. Poi il distacco senza spiegazione.

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Mercoledì 18 gennaio 2017

Il dolore per essere lontani.

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Giovedì 19 gennaio 2017

La paura e lo sconforto.

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Venerdì 20 gennaio 2017

Di nuovo insieme…

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Tratto da una storia vera: la nascita di mio figlio Livio Pasut

Perchè, se sei mamma, i giorni come questo ti rimangono scritti in modo indelebile nel cuore…

“Ogni decisione presa da un essere umano ha un significato. Il significato implica intenzione, l’intenzione implica un disegno e un disegno implica un autore”. Tratto da “Il signficato dell’esistenza umana” di E. O. Wilson

 

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Comunicare bene è essenziale

Lo sviluppo linguistico

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Il tratto vocale di un neonato è simile a quello di un primate adulto non umano, la laringe è molto più in alto rispetto alla posizione che occupa nell’adulto, la lingua è molto grande rispetto alla cavità orale ed è quindi dotata di una motilità limitata, il canale orofaringeo è tale per cui l’epiglottide e la velofaringe sono molto vicine, per cui il neonato ha poca possibilità di espirazione se non con la bocca aperta.

Per poter produrre tutti i suoni necessari a comporre le parole, è necessario controllare e coordinare i movimenti di laringe, glottide, palato molle, mandibola, labbra e lingua.

La pronuncia di una semplice frase implica la messa in moto e la coordinazione di più di cento muscoli.

Inoltre, il ciclo respiratorio deve essere combinato e sincronizzato con l’attività delle corde vocali. Lo sviluppo di tale apparato è comunque abbastanza veloce, a 3 mesi il palato si abbassa, la lingua si allunga e la sua motilità si rafforza. A 5 mesi il controllo del ritmo respiratorio e della fonazione è già abbastanza buono. A un mese di vita si osserva infatti nel neonato la produzione da 87 a 50 respiri per minuto, mentre a un anno, il controllo della tecnica respiratoria permette un ciclo di circa 19 respiri per minuto, un valore molto simile a quello osservato negli adulti.

Allo sviluppo anatomico e funzionale dell’apparato fonoarticolatorio si accompagnano dei cambiamenti nel tipo di suoni che il bambino è in grado di produrre, che possano essere evidenziati nella sequenza di stadi da Stark et al. (1993).

Stadio 1: suoni di tipo riflesso (0-2 mesi)

In questo periodo i bambini producono quasi esclusivamente suoni legati a condizioni fisiologiche di disagio, come il pianto, o associati con l’assunzione di nutrimento, come i suoni vegetativi (colpi di tosse, singulti, …). I suoni di pianto sono prodotti con la bocca aperta e quindi sono prevalentemente regressivi e sonori, cioè simili alle vocali.

Stadio 2: suoni di benessere e risate (2-4 mesi)

Quello che caratterizza questo tipo di suoni, oltre alle caratteristiche fonetiche che dimostrano un controllo volontario dell’apparato fonatorio, è il contesto in cui vengono prodotti: appaiono infatti in situazioni di benessere spesso durante un contatto fisico o visivo con la madre. All’inizio sono prodotti come segmenti isolati, ma ben presto si sviluppano in serie più lunghe, separate da brevi pause di interruzione della fonazione dovute al restringimento della glottide.

Stadio 3: gioco vocale (4-7 mesi)

In questo periodo il maggiore controllo acquisito dai bambini sulla laringe e i meccanismi articolatori lo portano a produrre una varietà di suoni, prevalentemente vocalici, con variazioni di intonazione e di intensità tali da dare all’ascoltatore l’impressione che il bambino stia appunto “giocando” con il proprio apparato fonatorio, esplorandone tutte le possibilità. In questo periodo possono essere prodotte le prime consonanti, dando luogo a ciò che Oller definisce come “lallazione marginale” (Oller, 1980).

Stadio 4: lallazione canonica e reduplicata (7-12 mesi)

Questa fase può essere considerata il livello più avanzato raggiunto dal bambino nel periodo prelinguistico; secondo alcuni autori, anzi, questa fase segna l’inizio della produzione linguistica vera e propria, almeno dal punto di vista fonetico. I bambini, infatti, sono ora in grado di produrre sillabe che hanno le stesse caratteristiche di quelle presenti nelle lingue naturali. L’unità costituita dalla sillaba ha una grande importanza a livello di percezione del linguaggio: è all’interno delle sequenze di sillabe che sono percepite le regolarità fonotattiche ed è la sillaba che veicola la maggior parte delle informazioni prosodiche. Ora i bambini sono in grado di riprodurre essi stessi ciò che hanno avuto modo di analizzare percettivamente nei mesi precedenti.

 

Tratto da “Lo sviluppo linguistico” di Laura D’Odorico (Editori Laterza, 2005)

Scoprire come siamo fatti…

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Oltre il linguaggio

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[…] Gli studi di neuroimaging su persone che guardano cartoni animati o ascoltano barzellette evidenziano l’attivazione di strutture evolutivamente antiche come l’amigdala e il nucleo accumbens, tuttavia si attivano anche strutture evolutesi più di recente e di ordine superiore, tra cui ampie regioni della corteccia frontale. Quindi, anche se i primati non umani ridono, l’umorismo dell’uomo sembra coinvolgere reti cognitive più specializzate, che non troviamo nelle altre specie.

Nella nostra specie, naturalmente, la risata è innescata da una serie di stimoli sociali e accompagna una vasta gamma di emozioni, non sempre positive. Tanto per elencare qualche situazione tipica che suscita il riso, possiamo citare la gioia, l’affetto, il divertimento, l’allegria, la sorpresa, il nervosismo, la tristezza, la paura, la vergogna, l’aggressività, la vittoria, lo scherno e la schadenfreude (il piacere provocato dalla sfortuna dell’altro).

In genere, comunque, ridere ha una funzione di segnale sociale con valenza emotiva e ricorre in presenza di altri individui: questo ha spinto la psicologa Diana Szameitat e il suo team a indagare la possibile funzione adattiva della risata umana. Il loro studio, pubblicato su “Emotion”, offre la prima dimostrazione sperimentale che gli essere umani hanno una sorprendente capacità di cogliere il significato psicologico del riso attraverso le sole caratteristiche fonetiche della risata. E qualche volta, sottolineano gli autori, la risata segnala intenzioni davvero aggressive, un fatto che – da un punto di vista evolutivo – dovrebbe stimolare risposte comportamentali appropriate, o biologicamente adattative, da parte dell’ascoltatore.

Come si può immaginare, è difficile, per non dire impossibile, riprodurre autenticamente le varie emozioni in laboratorio. Così per il loro primo studio Szameitat e i suoi collegi hanno scelto l’alternativa migliore: assumere otto attori professionisti (tre uomini e cinque donne) e registrare le loro risate. Non era l’ideale, ovviamente, e i ricercatori hanno ammesso che quei “ritratti emotivi” avevano un’applicabilità limitata rispetto alle emozioni autentiche. Ma “agli attori è stato detto di concentrarsi esclusivamente sullo stato emotivo e per nulla sull’espressione esteriore della risata”. Ecco i quattro tipi base di risata richiesti agli attori, insieme alla descrizione della tipologia e ai contesti usati per facilitare l’immedesimazione del personaggio:

Risata di gioia: incontrare un caro amico che non si vedeva da tantissimo tempo.

Risata di scherno: ridere di un avversario dopo averlo battuto. Riflette l’emozione del disprezzo derisorio e serve a umiliare l’ascoltatore.

Risata schadenfreude: ridere di un’altra persona cui è accaduta una disgrazia, come scivolare sulla cacca di cane. A differenza dello scherno, la risata non vuole davvero fare del male all’altra persona.

Risata da solletico: ridere quando si viene, letteralmente e fisicamente, solleticati.

Una volta raccolte le registrazioni, 72 volontari di lingua inglese sono stati invitati nel laboratorio, hanno indossato le cuffie e hanno affrontato il compito di identificare le emozioni che c’erano dietro ciascuna risata. I partecipanti hanno ascoltato molte sequenze sonore: 429 tracce in totale, ciascuna delle quali conteneva un frammento di risata a caso di durata da 3 ai 9 secondi, in modo che ci fossero dalle 102 alle 111 risate per emozione. I risultati sono stati sorprendenti; i volontari erano riusciti a classificare correttamente le risate a seconda delle emozioni, che spesso esprimevano in modo sottile, molto al di sopra delle previsioni.

In un secondo studio la procedura era quasi identica, ma ai volontari veniva posta una serie diversa di domande, relative alla dinamica sociale. Nella fattispecie, per ciascuna traccia di risata veniva chiesto se il “mittente” (cioè colui che rideva) fosse in uno stato fisicamente eccitato o calmo, se lui o lei era dominante o sottomesso rispetto al “destinatario” (cioè il soggetto di cui rideva), in una condizione piacevole o spiacevole, e se lui o lei era amichevole o aggressivo nei confronti del destinatario. Per questo secondo studio non c’era una risposta “giusta” o “sbagliata”, perché la percezione di questi dati dipendeva da attribuzioni soggettive. Tuttavia, come previsto, ogni tipo di risata (gioia, scherno, schadenfreude, solletico) aveva un profilo unico. I partecipanti usavano quei suoni per dedurre in modo corretto informazioni sociali specifiche relative a una situazione non vista. La gioia, per esempio, richiamava giudizi di scarsa eccitazione, docilità e valenza positiva in entrambe le parti coinvolte. La risata di scherno di distingueva chiaramente: era davvero dominante, ed era l’unico suono a essere percepito dai partecipanti come diretto al destinatario con valenza negativa.

La percezione dei volontari della risata schadenfreude è stata particolarmente interessante. Era percepita come dominante, ma non tanto quanto lo scherno; i mittenti impegnati in questa risata erano giudicati in uno stato positivo, più che nello scherno ma meno che nel solletico. La risata schadenfreude non era percepita né come aggressiva né come amichevole nei confronti del destinatario, ma neutrale.

Secondo gli autori, la cui interpretazione dei dati è stata anche questa volta ispirata dalla logica evoluzionistica, “la risata schadenfreude potrebbe quindi rappresentare uno strumento preciso (e socialmente accettabile) per dominare l’ascoltatore senza, al tempo stesso, isolarlo dal gruppo”. […]

 

Estratto di un articolo di Jesse Bering Tratto da “Le Scienze” (Settembre 2012)

Le sfumature del sorriso 

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Dopo la nascita

Periodo di Pasqua

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Marzo è il mese simbolico in cui è nata Logopedia Eulalia

Logopedia Eulalia rinasce in ogni momento in cui si realizzano per lo più accadimenti inaspettati e le persone si muovono sulla strada delle parole…

Ci sono persone che chiamano, raccontano, chiedono… Che osservano, cercano di capire…

Ad un certo punto tutto è più chiaro, più facile…

Persone entrano e poi escono… Entrano di nuovo e ancora escono… Tutto questo con la neve, la nebbia, il sole, la pioggia di primavera o d’autunno…

Alle 8.00, alle 12.00, alle 14.30, e così fino a sera, si realizzano nuovi incontri…

Alla fine ci si saluta ed è di nuovo l’ora di riprendere a camminare…

Ringrazio tutti i collaboratori, che lavorano con grande professionalità e grande cuore, e rivolgo a tutte le famiglie i migliori auguri di Buona Pasqua

Dott.ssa Elena

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Nuovo inizio

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Oggi lo Studio Logopedia Eulalia ha ripreso le attività. Nelle intenzioni avrei dovuto pubblicare questo post a giugno, ma ho avuto bisogno di staccare e ripartire proprio da qui…

Tutto l’anno e poi in particolare prima della pausa estiva prevista nel mese di agosto, negli incontri tra professioniste abbiamo raccolto quanto seminato in precedenza, giorno dopo giorno, e ci siamo ancora una volta confrontate su quelle che riconosciamo tra le migliori prassi per ottenere i risultati desiderati nel nostro lavoro, ossia il benessere della persona che abbiamo di fronte e, al contempo, la soddisfazione di noi professioniste

Tra le modalità di lavoro che non ci siamo più accontentate di leggere in letteratura, ma per cui abbiamo deciso di investire il nostro tempo al fine di realizzarle in studio troviamo: la terapia in piccolo gruppo, la multidisciplinarietà e il coinvolgimento dei familiari in stanza e a casa per la terapia indiretta.

Di seguito si riporta parte di un elaborato del lavoro nato esattamente a settembre 2017 e che nel corso dell’anno si è sviluppato e ci ha consentito di vedere grandi risultati…

Cogliamo l’occasione di ringraziare le famiglie che rispondono alle nostre proposte con fiducia e motivazione, e iniziano e proseguono i percorsi all’insegna del dialogo e della collaborazione

Personalmente ringrazio in particolare Tamara, Benedetta ed Emanuela con cui abbiamo lavorato fianco a fianco in un anno per me non facile a livello di salute… La loro serietà in tutti i passaggi che la presa in carico di un paziente comporta, il loro sorriso fin dalla mattina presto, la determinazione fino all’ultimo gradino da salire, la voglia di fare e sperimentare, e tante altro, mi hanno aiutata a ritrovare la forza per riprendere a lavorare come da sempre desiderato…

PROGETTO MULTIDISCIPLINARE – GRUPPO 1

 

In corrispondenza all’anno scolastico 2017/2018 si sono svolti incontri di terapia multidisciplinare di gruppo a cadenza settimanale nella giornata del lunedì in orario 9.00-10.00 (terapia diretta con le professioniste: 9.00-9.45; terapia indiretta con i familiari presenti in stanza: 9.45-10.00).

 

Professioniste: Dott.ssa Elena Ferino e Dott.ssa Benedetta Vanotti (Logopediste); Dott.ssa Emanuela Sgroi (Psicomotricista-Pedagogista Clinica).

 

Destinatari: 4 bambini, di cui 3 bambini che frequentano il 2° anno di scuola dell’infanzia ed 1 bambino che frequenta il 3° anno di scuola dell’infanzia.

 

Il progetto multidisciplinare destinato al Gruppo 1 è stato pensato in base a:

– conoscenza dei singoli bambini in terapia individuale e di gruppo da parte delle logopediste

– osservazione da parte della Dott.ssa Sgroi dell’incontro di gruppo svoltosi in data 29 gennaio 2018

– condivisione continua tra le professioniste

 

 

L’esprimersi del bambino è dapprima corporeo e poi diventa verbale. Questo spiega come linguaggio e motricità siano in stretta relazione. Tale legame è da tenere ben in considerazione in un percorso specifico di sviluppo di competenze comunicativo-linguistiche.

Obiettivo del progetto è creare desiderio e piacere attraverso esperienze di gioco e di movimento finalizzate al ritmo, alle pause, all’ascolto del proprio corpo, tutti aspetti fondamentali per incrementare le proprie competenze verbali.

Le proposte di gioco mireranno a potenziare la conoscenza del proprio corpo, la percezione spaziale, la percezione temporale e la coordinazione motoria.

L’ascolto di sé e di quanto intorno a sé permette al bambino di sintonizzarsi con la propria produzione verbale. Più ho piacere a muovermi e ad esplorare attraverso il corpo, più si crea il desiderio di parlare. Dal desiderio ci sarà il passaggio ad un nuovo importante processo, quello dell’“attenzione percettiva”, che permette di associare ad ogni esperienza percettiva un simbolo verbale.

 

 

A livello logopedico, in contesto ludico e comunicativo, si perseguono i seguenti obiettivi:

  • accrescere il contatto oculare;
  • monitorare e stimolare il linguaggio orale in comprensione e produzione (completare l’inventario fonetico e ridurre i processi di struttura e di sistema; incrementare l’ampiezza del lessico recettivo/espressivo e stimolare lo sviluppo di reti semantiche; migliorare la pianificazione morfo-sintattica, rendere il testo orale maggiormente coerente e coeso);
  • favorire le abilità pragmatiche, in particolare cogliere la valenza della comunicazione verbale e dell’effetto che questa ha sull’interlocutore, stimolare e bilanciare le abilità conversazionali a livello di responsività (rispondere a domande, rispondere a richieste, mantenere la contingenza) e a livello di assertività (fare domande, fare richieste, fare proposte), accrescere l’alternanza del turno in presenza di uno o più interlocutori;
  • incrementare le abilità di imitazione a livello di gesti, azioni, produzione vocale e verbale;
  • migliorare le prassie grafo-motorie.


CONCLUSIONI

 

L’estate dello scorso anno presso Logopedia Eulalia ha preso forma l’idea della terapia logopedica in gruppo e, con l’invito alle famiglie e la loro risposta, il progetto ha avuto inizio a settembre 2018, ad opera delle logopediste Dott.ssa Elena e Dott.ssa Benedetta.

 

La terapia logopedica in gruppo nasce dalla volontà di poter creare, grazie alla presenza di più di un solo bambino e un solo professionista, situazioni comunicative più vicine alla realtà quotidiana rispetto al contesto clinico in stanza e, dunque, più stimolanti sul piano cognitivo-linguistico e motivazionale. Questo per favorire una maggiore efficacia terapeutica in termini di generalizzazione e mantenimento dei risultati.

 

Dei bambini oggi presenti, due hanno iniziato il percorso a settembre, altri due in tempi successivi (novembre e gennaio). In generale, il cambiamento richiede molteplici risorse ed è occasione di maturazione: tutti e quattro i bambini si sono ottimamente adattati alle diverse situazioni che nel tempo si sono create.

 

Su iniziativa delle professioniste e con consenso dei genitori, a marzo c’è stata un’altra novità: con la presenza della Dott.ssa Emanuela, psicomotricista e pedagogista clinica, il gruppo è diventato multidisciplinare (discipline: logopedia e psicomotricità) ed è stato possibile coinvolgere maggiormente, in senso propedeutico ed accompagnatorio, i vari processi cognitivi relati al linguaggio verbale.

 

Nei vari incontri si sono ideate attività di gioco atte a favorire tra i presenti comunicazione, dove per comunicazione si intende quanto di seguito riportato.

Dal latino: communicare, mettere in comune, derivato di commune, propriamente, che compie il suo dovere con gli altri, composto di cum insieme e munis ufficio, incarico, dovere, funzione. Incredibile il valore di questa parola, ed incredibile la profondità intuitiva della sua etimologia. Consapevole delle proprie responsabilità e forte del proprio ruolo, la comunicazione è un’espressione sociale, un mettere un valore al servizio di qualcuno o qualcosa fuori da sé: non basta pronunciare, scrivere o disegnare per comunicare; la comunicazione avviene quando arriva, quando l’espressione è compresa e diventa patrimonio comune per la costruzione di una discussione, di un sapere, di una cultura. Propria di ogni essere vivente (chimica, comportamentale o sonora che sia), come umani abbiamo l’ulteriore responsabilità derivante da un linguaggio evolutivamente tardivo, fragile ma raffinatissimo che – noblesse oblige – non possiamo non usare al meglio per aver cura del nostro ambiente di vita, comunicando una cultura elevata nel nostro alto ufficio di ultimogeniti figli maggiori della Natura.

Testo originale tratto da unaparolaalgiorno.it: https://unaparolaalgiorno.it/significato/C/comunicare

 

Di volta in volta, su proposta delle professioniste e in base alle risposte dei bambini in gruppo, si è venuto a creare un ambiente ricco di immagini (reali o di fantasia), ritmi, silenzi, svariati codici e contenuti, memorie, affetto, … Ne sono risultate occasioni di relazione tra i bambini e con gli adulti di riferimento (professioniste nel tempo della terapia diretta; professioniste e genitori nel tempo della terapia indiretta).

 

Nel gruppo i bambini sono stati incentivati ed incoraggiati a:

– cogliere nell’immediato, sul piano motorio e verbale, comportamenti efficaci propri ed altrui al fine di renderli in tempi successivi oggetto di riflessione, imitazione ed apprendimento;

– condividere (la condivisione è stata principalmente di spazi, giochi, tempi, ruoli, attenzione degli interlocutori);

– sperimentarsi in compiti linguistici e non, di difficoltà variabile;

– cooperare uno con l’altro superando le normali incomprensioni che sorgono tra individui che entrano in relazione.

Tutti e quattro i bambini sono riusciti a vivere successi personali, accogliendo ed affrontando limiti e difficoltà propri e altrui, non da soli oppure in un rapporto privilegiato 1 a 1 con l’adulto, ma insieme ai compagni.

 

Si segnala che, avanzando nel percorso, è stato possibile ridurre progressivamente l’intervento e la mediazione da parte dell’adulto e si sono osservate tra i bambini dinamiche comunicative via via più complesse sul piano corporeo, verbale ed emozionale, con sempre più frequenti momenti di auto-/etero-regolazione tra i bambini stessi e felice riuscita delle comunicazioni.

 

Tutto ciò è stato attuabile attraverso l’utilizzo dei diversi linguaggi che ci permettono di manifestare, esprimere, comunicare noi stessi, dunque in primis, ma non solo, con le parole.

SPUNTI PER IL PERIODO ESTIVO

 

 

SPUNTI DI LOGOPEDIA

 

ATTIVITÀ

il genitore coglie e loda il successo comunicativo* e linguistico** del bambino

*successo comunicativo: contatto oculare, iniziativa comunicativa, rispetto del turno nel gioco o in conversazione

**successo linguistico: articolazione corretta del suono target

 

OBIETTIVO

per il genitore: focalizzarsi sulle abilità in via di acquisizione e gratificare il proprio bambino

per il bambino: accrescere le competenze comunicativo-linguistiche

e la soddisfazione per i propri atti comunicativi e linguistici

 

 

SPUNTI DI PSICOMOTRICITÀ

 

ATTIVITÀ

genitore e bambino sperimentano insieme la gioia del movimento e il piacere corporeo

in esperienze di gioco a corpo libero o con oggetti

 

OBIETTIVO

per il genitore: divertirsi con il proprio bambino

per il bambino: giocando e divertendosi con mamma e papà sviluppare sempre maggiori capacità senso-motorie

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Intervista Logopediste bambini ed adulti Padova

Le donne

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Le donne

Le donne che corrono
Che non dimenticano
Che cercano, che trovano
Che camminano sul filo sottile

Che diventano mamme
Che erano figlie
Ed un giorno capiscono la loro madre,
Le stesse difficoltà

Che si fanno belle
Che sono già belle
Un gioiello però dona luce
Ancor di più se donato con amore

La donna che lavora
Che tiene presenti i figli
Che cerca protezione
Che cresce e sorride

 
Scrivo sulle donne perché credo, per forza di cose, di conoscerle meglio

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La conoscenza

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Rita Levi Montalcini

 

Il linguaggio è un’arte come fare il pane o far la birra… Differisce tuttavia moltissimo da tutte le arti ordinarie, poichè l’uomo ha una tendenza istintiva a parlare, come vediamo nel balbettio dei nostri bambini, mentre nessun bambino ha la tendenza istintiva a fare il pane o la birra, o a scrivere. CHARLES DARWIN

Accettata la teoria dell’evoluzione, che la scoperta del codice genetico ha definitivamente sancito e e corredato dei meccanismi operativi, del tutto sconosciuti al tempo della sua scoperta, l’uomo si è posto la domanda di quale ruolo abbia giocato il sistema nervoso, e più precisamente il cervello, nel processo evolutivo che doveva conferirgli questa posizione di preminenza fra tutte le altre specie animali.

L’ipotesi che si presentava quale la più verosimile ed attraente, ed in quanto tale la prima suggerita, prospettava che il sistema nervoso stesso, andando incontro ad un aumento progressivo in volume e complessità dei circuiti cerebrali, fosse stato la causa prima dell’emergenza dell’Homo Sapiens dai primati e, in via indiretta, avesse determinato le differenze somatiche ovvie a chi paragoni la struttura corporea, le fattezze facciali, la deambulazione di una scimmia primitiva o antropomorfa (gibbone, orangotango, gorilla e scimpanzé) a quelle di un uomo.

[…]

La capacità di fabbricare oggetti, sia pure di natura rozza come quelli che sono stati rinvenuti presso i resti fossili degli australopitechi, avrebbe a sua volta determinato l’esigenza di comunicare tra individui e di indicare le caratteristiche degli oggetti stessi. La facoltà di comunicare e l’invenzione del linguaggio, che differisce in maniera totale dai sistemi di comunicazione tipici delle altre specie viventi, avrebbero dunque avuto origine in un periodo posteriore a quello della produzione dei primi manufatti.

Tratto da “Abbi il coraggio di conoscere” di Rita Levi Montalcini (Biblioteca Universale Rizzoli – Scienza, 2004)

Il linguaggio non manca mai…

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Il metodo danese

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IL METODO DANESE

PER CRESCERE BAMBINI FELICI

ED ESSERE GENITORI SERENI

 

JESSICA ALEXANDER e IBEN SANDAHL

 

NEWTON COMPTON EDITORI

 

 

Dopo essere stato incoronato per quarant’anni popolo più felice del mondo, cosa mantiene ancora i danesi ai primi posti nelle classifiche della felicità? Molto semplicemente, il metodo con cui crescono i loro figli. È un’eredità che si tramanda nel tempo, ripetuta da una generazione all’altra, che genera adulti sicuri di sé, equilibrati, felici e resilienti – e che può funzionare per chiunque.

Come genitori, è importante prima di tutto che esaminiamo i nostri automatismi, le nostre inclinazioni naturali in quanto genitori, così da poter meglio capire di quali cambiamenti ci sia bisogno. Prenderci del tempo per guardarci in uno specchio, e capire quali cose, di quelle fatte dalla nostra famiglia, stiano ripetendo come in un circolo vizioso. È il primo passo per un cambiamento significativo e una genitorialità forte.

Una volta identificati i nostri automatismi, i principi del PARENT forniscono strumenti semplici ed efficaci per accrescere la felicità nei nostri bambini e in noi stessi.

Play (il gioco) aiuta i bambini a sviluppare molte abilità fondamentali nella vita. Resilienza, strategie di adattamento allo stress (coping) e di negoziazione, e autocontrollo sono solo alcune delle preziose lezioni che si imparano con il gioco libero – così come la gestione dello stress che diminuisce le probabilità che i vostri bambini debbano lottare contro l’ansia una volta diventati adulti. Il gioco aiuta a sviluppare un luogo di controllo interno, che dà ai bambini la fiducia nelle proprie capacità, gettando così solide fondamenta per la felicità.

Authenticity (l’autenticità) aiuta i bambini a sviluppare una forte bussola interna poiché imparano a fidarsi delle loro emozioni. Insegnare l’onestà a noi stessi e ai nostri figli aiuta ad avere un carattere forte. E ricordate che tutte le emozioni sono giuste. Inoltre, a seconda dei vari modi in cui i bambini vengono lodati, avranno una diversa visione di se stessi nel mondo. Fare dei complimenti vuoti o concentrarsi troppo sulla loro intelligenza può bloccare i bambini, facendoli sentire insicuri e non disposti a rischiare. Lodando l’impegno, incoraggiamo una mentalità di crescita piuttosto che una mentalità di fissa, e contribuiamo a creare un individuo più tenace, profondamente sicuro di sé, e resiliente.

Reframing (la ristrutturazione) è un modo significativo di cambiare la percezione che i nostri bambini hanno della vita – e anche quella che abbiamo noi. Il modo in cui scegliamo di vedere le cose influenza il modo in cui sentiamo le cose. Gli ottimisti realistici non ignorano le informazioni negative; piuttosto, si concentrano semplicemente sulle altre informazioni a disposizione per scrivere una storia più interessante, più amorevole su se stessi, i figli, la vita in generale. La ristrutturazione può cambiare la nostra esperienza del mondo, e in questo processo rendiamo la nostra vita e quella dei nostri figli più felice. Trasmettere l’abilità della ristrutturazione ai nostri figli può essere uno dei doni più grandi che possiamo fare, promuovendo la felicità futura per loro e le generazione a venire.

Empaty (l’empatia) è una tendenza fondamentale, e fondamentalmente umana. Mentre il livello di empatia nella nostra società è diminuito e il livello di narcisismo è aumentato, le ricerche dimostrano che in noi è più innata l’empatia che l’egoismo. Giudicando e rimproverando meno, possiamo capire meglio la fragilità che c’è dentro di noi e negli altri, il che ci avvicina di più, plasma relazioni più profonde, più indulgenti e ci fa in generale più felici. Mettere in pratica l’empatia insegna ai nostri figli a rispettare gli altri e se stessi, e ciò porta a un senso di benessere più intenso.

No Ultimatums (nessun ultimatum) è un modo per ricordarsi che il braccio di ferro può condurci a perdere la calma. Molti genitori urlano o usano la punizione fisica come forma di disciplina. Perdiamo il controllo, eppure ci aspettiamo che i nostri bambini non lo facciano. In uno stile genitoriale autoritario, la fiducia e la vicinanza ai propri figli vengono sostituite dalla paura. Nel breve periodo funziona, ma alla lunga ci possono essere delle conseguenze. Lo stile genitoriale danese più diplomatico, promuove la fiducia e la resilienza nei figli. I bambini che si sentono rispettati e compresi, che vengono aiutati a comprendere e rispettare le regole, sviluppano un senso di autocontrollo molto più forte e alle fine crescono diventando adulti più felici, ed emotivamente più stabili.

Togetherness and Hygge (intimità e hygge) sono modi per promuovere relazioni più intime, che rappresentano uno degli elementi più sicuri che prevedere che una persona sarà felice. Imparando come fare l’hygge, ovvero come creare un’atmosfera intima, accogliente e serena con i nostri cari, possiamo migliorare le nostre riunioni di famiglia per renderle esperienze più piacevoli e memorabili per i nostri figli. Lasciando l’”io” fuori della porta e concentrandoci sul “noi”, possiamo eliminare tanti drammi inutili e tante negatività talora associati agli incontri familiari. Famiglie serene e un forte sostegno sociale danno vita a bambini più felici.

 

La gens italica è nota nel mondo per il cibo, la musica, la storia, l’arte, l’architettura, la moda, il calcio, …

Parlando di educazione ai figli, oggi possiamo imparare qualcosa di importante dai danesi!

 

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Comunicare bene è essenziale

Lo sviluppo linguistico

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Il tratto vocale di un neonato è simile a quello di un primate adulto non umano, la laringe è molto più in alto rispetto alla posizione che occupa nell’adulto, la lingua è molto grande rispetto alla cavità orale ed è quindi dotata di una motilità limitata, il canale orofaringeo è tale per cui l’epiglottide e la velofaringe sono molto vicine, per cui il neonato ha poca possibilità di espirazione se non con la bocca aperta.

Per poter produrre tutti i suoni necessari a comporre le parole, è necessario controllare e coordinare i movimenti di laringe, glottide, palato molle, mandibola, labbra e lingua.

La pronuncia di una semplice frase implica la messa in moto e la coordinazione di più di cento muscoli.

Inoltre, il ciclo respiratorio deve essere combinato e sincronizzato con l’attività delle corde vocali. Lo sviluppo di tale apparato è comunque abbastanza veloce, a 3 mesi il palato si abbassa, la lingua si allunga e la sua motilità si rafforza. A 5 mesi il controllo del ritmo respiratorio e della fonazione è già abbastanza buono. A un mese di vita si osserva infatti nel neonato la produzione da 87 a 50 respiri per minuto, mentre a un anno, il controllo della tecnica respiratoria permette un ciclo di circa 19 respiri per minuto, un valore molto simile a quello osservato negli adulti.

Allo sviluppo anatomico e funzionale dell’apparato fonoarticolatorio si accompagnano dei cambiamenti nel tipo di suoni che il bambino è in grado di produrre, che possano essere evidenziati nella sequenza di stadi da Stark et al. (1993).

Stadio 1: suoni di tipo riflesso (0-2 mesi)

In questo periodo i bambini producono quasi esclusivamente suoni legati a condizioni fisiologiche di disagio, come il pianto, o associati con l’assunzione di nutrimento, come i suoni vegetativi (colpi di tosse, singulti, …). I suoni di pianto sono prodotti con la bocca aperta e quindi sono prevalentemente regressivi e sonori, cioè simili alle vocali.

Stadio 2: suoni di benessere e risate (2-4 mesi)

Quello che caratterizza questo tipo di suoni, oltre alle caratteristiche fonetiche che dimostrano un controllo volontario dell’apparato fonatorio, è il contesto in cui vengono prodotti: appaiono infatti in situazioni di benessere spesso durante un contatto fisico o visivo con la madre. All’inizio sono prodotti come segmenti isolati, ma ben presto si sviluppano in serie più lunghe, separate da brevi pause di interruzione della fonazione dovute al restringimento della glottide.

Stadio 3: gioco vocale (4-7 mesi)

In questo periodo il maggiore controllo acquisito dai bambini sulla laringe e i meccanismi articolatori lo portano a produrre una varietà di suoni, prevalentemente vocalici, con variazioni di intonazione e di intensità tali da dare all’ascoltatore l’impressione che il bambino stia appunto “giocando” con il proprio apparato fonatorio, esplorandone tutte le possibilità. In questo periodo possono essere prodotte le prime consonanti, dando luogo a ciò che Oller definisce come “lallazione marginale” (Oller, 1980).

Stadio 4: lallazione canonica e reduplicata (7-12 mesi)

Questa fase può essere considerata il livello più avanzato raggiunto dal bambino nel periodo prelinguistico; secondo alcuni autori, anzi, questa fase segna l’inizio della produzione linguistica vera e propria, almeno dal punto di vista fonetico. I bambini, infatti, sono ora in grado di produrre sillabe che hanno le stesse caratteristiche di quelle presenti nelle lingue naturali. L’unità costituita dalla sillaba ha una grande importanza a livello di percezione del linguaggio: è all’interno delle sequenze di sillabe che sono percepite le regolarità fonotattiche ed è la sillaba che veicola la maggior parte delle informazioni prosodiche. Ora i bambini sono in grado di riprodurre essi stessi ciò che hanno avuto modo di analizzare percettivamente nei mesi precedenti.

 

Tratto da “Lo sviluppo linguistico” di Laura D’Odorico (Editori Laterza, 2005)

Scoprire come siamo fatti…

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Oltre il linguaggio

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[…] Gli studi di neuroimaging su persone che guardano cartoni animati o ascoltano barzellette evidenziano l’attivazione di strutture evolutivamente antiche come l’amigdala e il nucleo accumbens, tuttavia si attivano anche strutture evolutesi più di recente e di ordine superiore, tra cui ampie regioni della corteccia frontale. Quindi, anche se i primati non umani ridono, l’umorismo dell’uomo sembra coinvolgere reti cognitive più specializzate, che non troviamo nelle altre specie.

Nella nostra specie, naturalmente, la risata è innescata da una serie di stimoli sociali e accompagna una vasta gamma di emozioni, non sempre positive. Tanto per elencare qualche situazione tipica che suscita il riso, possiamo citare la gioia, l’affetto, il divertimento, l’allegria, la sorpresa, il nervosismo, la tristezza, la paura, la vergogna, l’aggressività, la vittoria, lo scherno e la schadenfreude (il piacere provocato dalla sfortuna dell’altro).

In genere, comunque, ridere ha una funzione di segnale sociale con valenza emotiva e ricorre in presenza di altri individui: questo ha spinto la psicologa Diana Szameitat e il suo team a indagare la possibile funzione adattiva della risata umana. Il loro studio, pubblicato su “Emotion”, offre la prima dimostrazione sperimentale che gli essere umani hanno una sorprendente capacità di cogliere il significato psicologico del riso attraverso le sole caratteristiche fonetiche della risata. E qualche volta, sottolineano gli autori, la risata segnala intenzioni davvero aggressive, un fatto che – da un punto di vista evolutivo – dovrebbe stimolare risposte comportamentali appropriate, o biologicamente adattative, da parte dell’ascoltatore.

Come si può immaginare, è difficile, per non dire impossibile, riprodurre autenticamente le varie emozioni in laboratorio. Così per il loro primo studio Szameitat e i suoi collegi hanno scelto l’alternativa migliore: assumere otto attori professionisti (tre uomini e cinque donne) e registrare le loro risate. Non era l’ideale, ovviamente, e i ricercatori hanno ammesso che quei “ritratti emotivi” avevano un’applicabilità limitata rispetto alle emozioni autentiche. Ma “agli attori è stato detto di concentrarsi esclusivamente sullo stato emotivo e per nulla sull’espressione esteriore della risata”. Ecco i quattro tipi base di risata richiesti agli attori, insieme alla descrizione della tipologia e ai contesti usati per facilitare l’immedesimazione del personaggio:

Risata di gioia: incontrare un caro amico che non si vedeva da tantissimo tempo.

Risata di scherno: ridere di un avversario dopo averlo battuto. Riflette l’emozione del disprezzo derisorio e serve a umiliare l’ascoltatore.

Risata schadenfreude: ridere di un’altra persona cui è accaduta una disgrazia, come scivolare sulla cacca di cane. A differenza dello scherno, la risata non vuole davvero fare del male all’altra persona.

Risata da solletico: ridere quando si viene, letteralmente e fisicamente, solleticati.

Una volta raccolte le registrazioni, 72 volontari di lingua inglese sono stati invitati nel laboratorio, hanno indossato le cuffie e hanno affrontato il compito di identificare le emozioni che c’erano dietro ciascuna risata. I partecipanti hanno ascoltato molte sequenze sonore: 429 tracce in totale, ciascuna delle quali conteneva un frammento di risata a caso di durata da 3 ai 9 secondi, in modo che ci fossero dalle 102 alle 111 risate per emozione. I risultati sono stati sorprendenti; i volontari erano riusciti a classificare correttamente le risate a seconda delle emozioni, che spesso esprimevano in modo sottile, molto al di sopra delle previsioni.

In un secondo studio la procedura era quasi identica, ma ai volontari veniva posta una serie diversa di domande, relative alla dinamica sociale. Nella fattispecie, per ciascuna traccia di risata veniva chiesto se il “mittente” (cioè colui che rideva) fosse in uno stato fisicamente eccitato o calmo, se lui o lei era dominante o sottomesso rispetto al “destinatario” (cioè il soggetto di cui rideva), in una condizione piacevole o spiacevole, e se lui o lei era amichevole o aggressivo nei confronti del destinatario. Per questo secondo studio non c’era una risposta “giusta” o “sbagliata”, perché la percezione di questi dati dipendeva da attribuzioni soggettive. Tuttavia, come previsto, ogni tipo di risata (gioia, scherno, schadenfreude, solletico) aveva un profilo unico. I partecipanti usavano quei suoni per dedurre in modo corretto informazioni sociali specifiche relative a una situazione non vista. La gioia, per esempio, richiamava giudizi di scarsa eccitazione, docilità e valenza positiva in entrambe le parti coinvolte. La risata di scherno di distingueva chiaramente: era davvero dominante, ed era l’unico suono a essere percepito dai partecipanti come diretto al destinatario con valenza negativa.

La percezione dei volontari della risata schadenfreude è stata particolarmente interessante. Era percepita come dominante, ma non tanto quanto lo scherno; i mittenti impegnati in questa risata erano giudicati in uno stato positivo, più che nello scherno ma meno che nel solletico. La risata schadenfreude non era percepita né come aggressiva né come amichevole nei confronti del destinatario, ma neutrale.

Secondo gli autori, la cui interpretazione dei dati è stata anche questa volta ispirata dalla logica evoluzionistica, “la risata schadenfreude potrebbe quindi rappresentare uno strumento preciso (e socialmente accettabile) per dominare l’ascoltatore senza, al tempo stesso, isolarlo dal gruppo”. […]

 

Estratto di un articolo di Jesse Bering Tratto da “Le Scienze” (Settembre 2012)

Le sfumature del sorriso 

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Dopo la nascita

Periodo di Pasqua

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Marzo è il mese simbolico in cui è nata Logopedia Eulalia

Logopedia Eulalia rinasce in ogni momento in cui si realizzano per lo più accadimenti inaspettati e le persone si muovono sulla strada delle parole…

Ci sono persone che chiamano, raccontano, chiedono… Che osservano, cercano di capire…

Ad un certo punto tutto è più chiaro, più facile…

Persone entrano e poi escono… Entrano di nuovo e ancora escono… Tutto questo con la neve, la nebbia, il sole, la pioggia di primavera o d’autunno…

Alle 8.00, alle 12.00, alle 14.30, e così fino a sera, si realizzano nuovi incontri…

Alla fine ci si saluta ed è di nuovo l’ora di riprendere a camminare…

Ringrazio tutti i collaboratori, che lavorano con grande professionalità e grande cuore, e rivolgo a tutte le famiglie i migliori auguri di Buona Pasqua

Dott.ssa Elena

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